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Considerazioni giurisdizionali: una nuova dimensione europea nel campo penale?


19.05.2025

Riflessioni sulle criticità della giustizia penale, dove la vittima è spesso marginalizzata e il castigo viene inteso come riparazione simbolica del danno alla società...

E' un'indegnità, una vergogna! E' l'esclamazione che ci capita spesso di ascoltare ai telegiornali della sera, quale angosciato commento dei familiari ad una sentenza che non ha condannato con l'attesa severità il presunto responsabile del crimine di cui un loro caro é stato vittima. Invece, quando la pena è considerata adeguata, si grida 'giustizia è fatta'.

Conviene chiedersi qual'è lo scopo e quali sono i destinatari di una sentenza penale.

La nozione d'infrazione penale rinvia alla lesione di un valore , la vita umana, l'integrità fisica, la fede degli scritti, la cui salvaguardia è ritenuta essenziale al convivere civile. Di conseguenza è la società nel suo insieme che è considerata come la vittima e non solo colei o colui direttamente colpiti fisicamente, moralmente o patrimonialmente. Ed é con tale riferimento che il pubblico ministero richiede la condanna e la punizione del colpevole. Si considera dunque che la sanzione penale, che essa sia costituita dal carcere o da qualsiasi altra misura a carattere punitivo, compensi il disordine sociale causato dall'infrazione. E' dunque in virtù' del castigo, cioè attraverso una misura afflittiva, imposta all'autore dei fatti, che la società civile può recuperare la sua integrità, la sua coesione e la pace iniziale.

Dunque la vittima effettiva dell'infrazione non possiede uno statuto di primo piano. Il fatto criminale di cui ella ha subito le conseguenze, costituisce l'elemento scatenante dell'azione penale del pubblico ministero, che si impossessa del fascicolo appena i fatti sono sottoposti alla sua attenzione. Da questo istante si può affermare che la vittima è, in qualche modo, spodestato del suo caso che diventa quello di tutti, tramite il magistrato. La vittima è considerata come elemento sussidiario del processo.

Di fatto si presume che, oltre alla società globalmente intesa, anche la vittima trovi compensazione al torto subito nella punizione inflitta al colpevole. Insomma la sofferenza inflitta al responsabile dell'atto criminoso è considerata idonea ad attenuare, addirittura neutralizzare quella subita dalla sua vittima. Quando la punizione non è ritenuta adeguata dalla vittima e/o dai suoi familiari, si grida all'ingiustizia. Ci si può domandare circa la fondatezza di un tale ragionamento e se non sia urgente ripensare la funzione della pena, in particolare della prigione. Un'altra giustizia è possibile?

Poiché il corpo sociale non è la reale vittima di tutte le infrazioni commesse in quanto lo è solo per il principio, cioè astrattamente e simbolicamente, perché dunque è stato scelto di riservare alla Stato, tramite le autorità designate all'uopo, il monopolio della repressione, l'esclusività della legittima violenza. La risposta puo' sembrare ovvia: si presume che le vittime, o i suoi rappresentanti sarebbero incapaci di scegliere la giusta soluzione. La giustizia si fonda sulle nozioni di equità e misura. Cosi una repressione esercitata dalle vittime stesse non sarebbe affidabile in quanto o troppo lieve o eccessiva, cioè troppo aleatoria nei due casi, a seconda del carattere delle vittime.

Cionondimeno è normale che la vittima sia messa fuori gioco, sia spossessata della sua storia, che non potendo esprimere le sue doglianze sia costretta a farlo davanti alle camere televisive? Si può aderire al concetto che non spetta alla vittima di decidere in ultima istanza della sorte da riservare all'autore dei fatti criminosi: giuristi e filosofi concordano sul punto. La vittima non può essere agente della repressione. Pero' è giudizioso escluderla totalmente dal dibattito alla quale l'udienza privilegiata riservata alle vittime nei media, conferisce una scottante attualità?

Esistono modi alternativi di soluzione delle controversie penali, tra questi la giustizia riparativa. Un settore relativamente nuovo nei sistemi giuridici europei. Essa si basa sull'idea di porre rimedio al danno, coinvolgendo la vittima e l'imputato nel processo di soluzione dei conflitti, eventualmente con l'intervento imparziale di un terzo.

In particolare la mediazione ha dimostrato la sua efficacia, come gli altri mezzi di risoluzione dei conflitti. È riconosciuto che la mediazione offre un approccio flessibile e autodeterminato. È in grado di sollevare i giudici dall'onere soffocante di risolvere i molteplici e complessi casi quando entrano in aula.

La giustizia negoziata, nelle sue varie forme, trasforma le categorie tradizionali del diritto penale. La distinzione tra diritto pubblico e diritto privato tende ad attenuarsi. Tradizionalmente considerata come la summa divisio , questa distinzione radicale tra diritto pubblico e privato, basata sulla considerazione che il diritto penale riguarda lo Stato per definizione, è messa in discussione dallo sviluppo di un diritto contemporaneo in cui interessi privati e pubblici per la punizione degli illeciti si sovrappongono. Il diritto di punire deve essere rivendicato come mezzo per collegare la volontà dell'individuo al benessere della società in modo diverso dallo strumento della privazione della libertà.

Il modello di diritto penale come intervento autoritario e unilaterale nella difesa dei valori sociali, cede gradualmente il passo a un modello maggiormente orientato verso la riparazione del danno causato. Come risultato delle procedure negoziate, lo schema puro del giudice che cerca la verità, determina la responsabilità e condanna a seguito di un dibattito contraddittorio e pubblico sul merito del caso, va erodendosi. D'altra parte, i reati commessi in campo economico e finanziario sono combattuti in modo più efficace imponendo sanzioni che colpiscono la 'res' piuttosto che la persona. Colpire la proprietà o la vita professionale può essere più efficace e punitivo di una misura di detenzione.

E' quanto la riforma Cartabia suggerisce in Italia: delineare un paradigma per un più' ampio sistema di giustizia riparativa che superi le reticenze di molti attori processuali che lo considerano ancora un tema nebuloso, da sorvolare rapidamente , che suscita scetticismo, riserve e malintesi.

Nondimeno vi é urgenza in Italia ed in Europa di ricercare soluzioni per far fronte al sovrappopolamento delle prigioni. Recentemente i Ministri della giustizia ad Helsinki, hanno affrontato, in un ampio dibattito, il tema delle misure alternative alla prigione. Si considera indispensabile un accordo politico sul tema, volto a ricercare soluzioni al problema delle condizioni carcerarie in Europa, che intacca la reciproca fiducia, requisito indispensabile alla cooperazione giudiziaria, in particolare nel quadro del mandato d'arresto europeo, quando si invocano le condizioni disumane delle carceri del Paese richiedente, onde rifiutare l'estradizione, anche se sotto la vigile attenzione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Il Consiglio, dopo aver constatato che esistono notevoli divergenze e lacune nelle legislazioni nazionali, invoca la necessità di armonizzare e promuovere le misure alternative alla prigione in collaborazione col Consiglio d'Europa. Restiamo fiduciosi che i nostri colleghi delle Istituzioni europee si adoperino in tal senso col dovuto impeto!


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