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Il nuovo giudice Robot


24.12.2022

L’intelligenza artificiale impatta la nostra vita quotidiana in una miriade di modi.

Nel campo della giustizia criminale si identificano diverse possibilità di decisioni fondate su algoritmi. Esse possono essere dispiegate per la prevenzione, detenzione, ricerca e persecuzione di crimini, nei procedimenti giudiziari e per l’esecuzione delle pene.

Lo scopo della giustizia criminale è di punire colui che ha commesso un crimine, cioè ha violato le regole della coesistenza civile, e di impedire che egli o altri ne commettano ancora, oltre che mirare alla sua riabilitazione.

La condanna dell’imputato e le misure coercitive si imperniano sulla presunzione che la decisione presa è conforme alla verità cioè che il crimine è stato commesso dall’imputato secondo la ricostruzione processuale. È ovvio però che la giustizia criminale non è capace di ricostruire i fatti come essi realmente accaddero. Così la sentenza si fonda sull‘’intimo convincimento” nei sistemi di tradizione romano-germanica e “al di là di ogni ragionevole dubbio” in quelli anglosassoni. Benché si tenda con i diversi strumenti disponibili alla professione a minimizzarne il rischio, la possibilità di errori è inerente al sistema. Ciò è dovuto da una parte ai limiti della percezione del passato e dall’altra al procedimento di valutazione in cui gli elementi emozionali possono svolgere un ruolo preponderante.

A tale riguardo alcuni considerano positivamente lo sviluppo in corso di una giustizia automatica, resa dall’intelligenza artificiale che non sarebbe guidata dall’emozione. Non è il solo argomento avanzato in favore di una giustizia automatizzata ma ne è uno costantemente reiterato. Si presume dunque che una non emozionale intelligenza artificiale potrebbe essere il rimedio in quanto si raggiungerebbe una maggiore “equità”. Il ragionamento è quindi fondato sulla considerazione che l’emozione nel processo decisionale giudiziario sia deleteria. Cioè l’emozione produrrebbe distorsione, irragionevolezza e ragionamento erroneo. Il diritto sarebbe il tempio della ragione e l’emozione nemica della ragione. Le emozioni sono descritte come impulsive, imprevedibili e irrazionali e sfocerebbero in lacunose argomentazioni.

Il fronte opposto della dottrina sostiene che queste supposizioni date per acquisite, non riflettano la realtà e la conoscenza generata dalle scienze sociali ed in particolare dallo sviluppo della psicologia cognitiva e dalla neuroscienza. La teoria dell’emozione ci insegnerebbe che le emozioni possono essere considerate razionali nella maggior parte dei casi e che esse sono cruciali nel trattamento dell’informazione.

Il giudice, essi affermano, deve essere capace di riconoscere l’emozione come parte degli elementi di un’offesa, distinguere tra diverse emozioni, esaminarle, tematizzarle con i vari attori del processo e i loro testimoni al fine di rendere un verdetto equo. Per essere capace di realizzare un tale complesso procedimento, gli si richiede un’intelligenza emozionale (IE). Va da sé che l’intelligenza artificiale (IA) non possiede l’IE quindi non è capace della razionalità emozionale richiesta per un processo decisionale complesso e socialmente coinvolgente che sfocia in una sentenza. Sostituire quindi agenti umani con processi decisionali automatici significherebbe scombussolare molte strutture e procedure che confidano nelle emozioni o in un emozionalmente intelligente trattamento delle informazioni. D’altra parte la presenza fisica, gli incontri tra persone e l’interazione umana sono considerate centrali per un processo equo. Gli individui, specialmente quelli considerati vulnerabili o svantaggiati socialmente, si sentono più ascoltati durante colloqui in presenza ed incontri personali.

Avere la sensazione di essere ascoltati costituisce una parte importante del procedimento giudiziario e suscita un senso di legittimazione dell’autorità.

Insomma il dibattito è ancora vivace quanto all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel procedimento giudiziario. Per ora sono più numerosi quanti sostengono che gli umani non possono essere sostituiti da agenti automatizzati senza un significativo avverso impatto sui diritti individuali ed il concetto di “giustizia” come la conosciamo, nel senso dell’interazione umana durante il processo e la deliberazione giudiziaria. Affidarsi pesantemente su algoritmi farebbe più male che bene.

Tuttavia anche gli oppositori si accordano nel dire che il, loro ancestrale timore quanto ai mutamenti tecnologici non deve impedire ai sistemi e alle tecniche di intelligenza artificiale di essere presi in considerazione allorquando possono significativamente e positivamente giovare ai procedimenti umani, ivi compresi quelli della giustizia criminale.

Personalmente ne deduco che il processo di automatizzazione della giustizia penale sia inarrestabile ed in alcuni Paesi, proni all’incarceramento agevole, già avviato, magari in base alla configurazione della nostra scatola cranica. Insomma, si torna agli studi craniologici del Lombroso. La biometria potrebbe essere di pericoloso ausilio…

Dunque un solo consiglio: ‘fate i buoni’!


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